L’11 settembre europeo e la nuova politica del terrore. Dai “lone wolves” ai “rientrati”

Vai ai contenuti

L’11 settembre europeo e la nuova politica del terrore. Dai “lone wolves” ai “rientrati”

Università Popolare UNISED | Criminologia, Scienze forensi, Neuroscienze e Security
Pubblicato da Luca Angrisani in Terrorismo · Lunedì 12 Gen 2015
Tags: 11settembreeuropeoLucaAngrisani

Destabilizzazione sociale e politica di un popolo, attraverso azioni violente che mirano a modificare abitudini, opinioni, modi di pensare e di agire, allo scopo di creare un clima di paura costante fino alla sollecitazione dei timori più intimi, come la paura di ricevere una brutta notizia. Questa la politica del terrore perseguita ed esercitata dai gruppi terroristici internazionali. Non a caso, l’attacco terroristico del 7 gennaio scorso alla testata giornalistica satirica Charlie Hebdo di Parigi e la sparatoria in cui è stato assassinato un agente di polizia a Montreounge, seguiti nei giorni successivi da una serie di altri omicidi a carico di cittadini ostaggi della fase di fuga dei responsabili, sono stati ritenuti dai Paesi dell'Unione l' "11 settembre europeo".
La cronaca e i media hanno ben raccontato, nei minimi particolari, tutti i dettagli dei due giorni di terrore vissuti dalla Francia, scatenando, da un lato, dubbi e perplessità in chi predilige la teoria del complotto e, dall'altro, paura nell'intera comunità dell'area Schengen.
Ma qual è oggi la situazione di sicurezza in Europa? Intanto credo debba essere fatta un po' di chiarezza circa la tipologia dei potenziali attori, componenti la minaccia asimmetrica del terrorismo, antagonisti della sicurezza sociale comunitaria. Potremmo infatti suddividere questi ultimi in tre distinte categorie: i terroristi affiliati (come le cosiddette cellule dormienti), i "lone wolves" ed i nuovissimi "rientrati", categoria, quest'ultima, alla quale appartengono i protagonisti delle vicende di Parigi.
Chiaramente ad ogni categoria é associabile un livello di rischio, che evidentemente risulta essere inversamente proporzionale alle capacità di sorveglianza e controllo, ambito di prevenzione dei reati delle forze di sicurezza del Paese ospitante, ed un livello di minaccia che risulta direttamente proporzionale alle capacità tecniche-operative dei soggetti coinvolti, nonché alla loro volontà di concretizzare l'atto criminoso.
Con il caso norvegese, sono già state affrontate e chiarite sia le caratteristiche e la pericolosità dei potenziali lupi solitari sia le criticità e le vulnerabilità degli Elementi di Organizzazione statuali coinvolti nel ciclo valutativo della specifica minaccia.
Ma chi sono i rientrati? Sono quei personaggi che, pur non facendo parte di una vera e propria organizzazione terroristica, ad un certo punto del loro personale percorso decidono di sposarne valori e credo, arrivando a concretizzare le proprie intenzioni prendendo parte ad azioni di combattimento presso Paesi terzi teatri di guerre e violenza. La carriera del rientrato ha inizio presso il Paese ospitante, o natio in alcuni casi, dove talune tipologie di frequentazioni sviluppano in lui una forma di curiosità ad esempio verso forme di religione sconosciute, che rapidamente lo conducono attraverso un dedicato percorso "spirituale" gestito da una guida, un formatore fondamentalista, alla ricerca di una nuova identità culturale radicata a valori ed ideali forti. Per alcuni avviene la conversione che divien un vero e proprio stile di vita. Seguirà un periodo di studio e condivisione sociale che, unito ai forti momenti di autoconvinzione ed automotivazione, comporteranno nel soggetto il vero e proprio annullamento del precedente percorso di vita a favore del nuovo obiettivo personale. Nel tempo si convincerà che l'unica strada percorribile per il raggiungimento dello scopo é l'eliminazione fisica dell'infedele e di tutto ciò che lo rappresenta, attraverso la violenza in ogni sua forma. I due fratelli franco-algerini responsabili dell'attentato alla sede del Giornale satirico francese, appartenevano alla categoria dei rientrati come dichiarato dalle Autorità transalpine. Infatti avevano fatto registrare un viaggio in Siria, dove avevano combattuto tra i ranghi degli "insurgents" dello Stato islamico contro il regime di Assad. Il rientrato, pertanto, se da un lato rappresenta un elevato livello di minaccia, dall'altro dovrebbe rappresentare un basso rischio, in quanto, visti i propri pregressi, dovrebbe risultare personaggio attenzionato dai servizi di informazione. Ma tornando alla situazione di sicurezza in Europa, essa in questo momento è da considerarsi altamente delicata, in quanto totalmente dipendente dalla politica di condivisione delle informazioni dei relativi servizi di intelligence. L'accordo di Schengen sulla libera circolazione, infatti, in questo delicatissimo momento rappresenta l'anello vulnerabile dell'intero sistema. Senza un’adeguata operazione di targeting a carico di tutti i soggetti ritenuti di intesse informativo, si rischia che chiunque di questi personaggi possa entrare in qualsivoglia Paese dell'area senza destare nessun tipo di attenzione. Si immagini, ad esempio, che i due fratelli con passaporto francese, potendo eventualmente contare su di un adeguato supporto logistico in sede, avrebbero tranquillamente potuto condurre un simile attacco ovunque in Europa.
In conclusione, i singoli servizi di intelligence, pur potendo contare sulle proprie capacità di sorveglianza in ambito nazionale, grazie ai propri database correntemente aggiornati, potrebbero risultare totalmente inefficienti se l'ingresso sul proprio territorio di pseudo-terroristi avvenisse non preceduto da specifica comunicazione (condivisione) da parte degli omologhi organismi esteri informati.
Quanto sopra delinea un quadro tale da imporre tutti i Paesi a rivedere, per quanto attiene i rapporti internazionali, la propria politica di "sharizzazione" delle informazioni e ad abbandonare la cultura del muro burocratico della definizione di esclusivo interesse nazionale a favore di un più remunerativo interesse comunitario. Mentre per quanto riguarda la situazione interna, credo che le preposte istituzioni dovrebbero esaminare la possibilità di coinvolgere, attraverso specifiche informative, anche il mondo del privato, ovvero di quelle aziende e società che, per natura o per interessi commerciali, potrebbero rappresentare, agli occhi di talune organizzazioni terroristiche, un target privilegiato.

* Riproduzione Riservata *


Torna ai contenuti