Gioco d’azzardo e cocaina: per il cervello hanno molto in comune

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Gioco d’azzardo e cocaina: per il cervello hanno molto in comune

Università Popolare UNISED | Criminologia, Scienze forensi, Neuroscienze e Security
Pubblicato da Massimo Blanco in Neuroscienze Sociali e Comportamento · Giovedì 22 Gen 2015
Tags: Giocod'azzardoecocaina

Il gioco d’azzardo patologico (GAP), spostato sulla quinta edizione del DSM tra le dipendenze come quella da sostanze stupefacenti, sinteticamente può essere definito come l’incapacità di rispondere adeguatamente all’impulso di ricorrere a giochi che comportano il rischio della scommessa.
L’immagine che in molti hanno del giocatore d’azzardo è quella di una persona che scommette per vincere e arricchirsi o di chi è già ricco e gioca giusto per passare il tempo, tanto ha abbastanza denaro per poterselo permettere.
Ma la ricerca neuroscientifica e gli studi di carattere psicosociale degli ultimi dieci anni ci offrono un quadro totalmente diverso sul GAP.
Vediamo cosa ci dicono autorevoli studi compiuti sul cervello.
Luke Clark, dell’Università di Cambridge, ha recentemente pubblicato uno studio riguardante il gioco d’azzardo prendendo in esame soggetti con lesioni alla corteccia prefrontale orbitale, all’amigdala e all’insula (Clark et al., 2014). Tali soggetti, unitamente ad un gruppo di controllo costituito da persone sane, sono stati sottoposti a dei test con la roulette e le slot machine. Nel corso dell’esperimento, quasi tutti i partecipanti erano sempre più motivati a giocare non solo in caso di vincita ma anche nel caso di vincita "sfiorata" (ad esempio quando si verifica l’uscita di un numero precedente o successivo a quello su cui si è puntato). In diversi hanno poi anche ammesso di affidarsi al numero "ritardatario" la cui uscita, secondo le credenze, diviene sempre più probabile ad ogni puntata. Al termine del gioco i partecipanti sono stati intervistati in relazione alle emozioni provate, facendo emergere quanto appena descritto. Gli unici soggetti che hanno dichiarato di non aver avuto una accresciuta motivazione a giocare erano quelli con danno all’insula. I risultati di questo esperimento hanno portato Clark e colleghi a confermare l’ipotesi di un coinvolgimento dell’insula nei circuiti di ricompensa attivati dal gioco d’azzardo. Infatti, prima del 2014 vi sono stati altri diversi studi che hanno indagato il ruolo dell’insula nelle dipendenze dal gioco. Sempre Clark, nel 2009, aveva riscontrato che l’insula può contribuire agli effetti gratificanti del gioco d’azzardo persino in assenza di una ricompensa (Clark et al., 2009), mentre nel 2010 è stato scoperto che la medesima struttura cerebrale si attiva anche nei giocatori occasionali (Miedl et al., 2010). Infine, nel 2012, una ricerca con la risonanza magnetica funzionale (fMRI) ha evidenziato che, nei giocatori d’azzardo patologici, la "quasi-vincita" alle slot machine produce un’attivazione dell’insula pressoché identica a quella della vincita (Billieux, 2012). Oltre all’attivazione dell’insula e di altre strutture sottocorticali che innescano le spinte verso il gioco d’azzardo e generano piacere, nei giocatori patologici si è riscontrata altresì una bassa attività della corteccia prefrontale, cioè la regione che limita o inibisce gli impulsi e che pianifica il comportamento. Precisamente, è stato dimostrato con la fMRI che gli stimoli derivanti dal gioco e la grave perseverazione comportamentale correlano con una ipoattività della corteccia prefrontale anche in caso di perdita di denaro (de Ruiter, 2011). Ciò significa che il giocatore d’azzardo patologico perde la propria sensibilità di fronte alla ricompensa e alla punizione. Ma c’è di più. Uno studio effettuato nel 2011 con la PET (tomografia ad emissione di positroni) sugli effetti delle slot machine, ha evidenziato che il gioco d’azzardo attiva lo striato, una struttura sottocorticale legata alla ricompensa, e i relativi recettori della dopamina, cioè il neurotrasmettitore del "piacere". Gli effetti del gioco d’azzardo, a livello cerebrale, si sono rivelati i medesimi sia per i giochi ad alta ricompensa che per quelli a bassa ricompensa, sia nei giocatori patologici che nei soggetti sani (Joutsa et al., 2012). Questo significa due cose: la prima è che il giocatore d’azzardo prova piacere indipendentemente dal guadagno o dalla perdita; la seconda è che il gioco d’azzardo ha un potenziale di "uncinamento" molto simile a quello delle sostanze come la cocaina. Pertanto, le strutture cerebrali implicate nel gioco d’azzardo patologico (insula e striato), le sostanze rilasciate e maggiormente disponibili legate alle sensazioni di piacere (dopamina) e le forti pulsioni verso il gioco ci mostrano uno scenario molto simile alla dipendenza da sostanze stupefacenti, anche in relazione alle diminuite capacità della corteccia prefrontale (Lawrence, 2009), cioè la struttura del cervello che modula gli istinti e ci fa prendere decisioni vantaggiose.

I fattori di vulnerabilità biologica al gioco d’azzardo, così come quella da sostanze, sono ancora oggetto di studi e approfondimenti, ma la vulnerabilità derivante da fattori sociali è indubbia. Uno di questi fattori è sicuramente quello della solitudine, favorita non solo dalla crisi delle relazioni sociali ma anche dalla sempre minore offerta di "occasioni" in cui socializzare.
I luoghi delle occasioni sociali, infatti, per molte persone che vivono sole o che hanno necessità di evadere dai loro problemi, sono diventati anche posti in cui regna l’insidia di una subdola dipendenza del tutto assimilabile a quella dalla cocaina. Una dipendenza che può portare alla compromissione psicofisica non solo del giocatore ma di intere famiglie, alimentando altresì il racket dello strozzinaggio visto che il "gambler" (giocatore d’azzardo) non poche volte è costretto a ricorrere a prestiti di denaro per continuare ad acquistare la sua "droga".
A tutti sarà capitato di entrare in un qualsiasi tabaccaio e notare i giocatori d’azzardo in fila per comprare una giocata del lotto o i vari "gratta e vinci", oppure davanti ad un monitor in attesa delle estrazioni. Ebbene sì, "giocatori d’azzardo", perché l’appellativo è proprio questo. Uomini e donne, di cui molti pensionati, tra i quali, con molto rammarico, si nota quello con la mazzetta di denaro contante in mano pronto a giocarsi la pensione o i risparmi. Per non parlare delle slot machine; se entri in un bar e non le vedi ti meravigli della loro assenza. Forse non tutti sanno che la vincita alle slot machine e ai videopoker non è dovuta al "caso". Infatti, slot machine e videopoker sono programmati per far vincere dopo un certo numero di tentativi. Così si spiega la ragione per la quale, talvolta, nascono liti furibonde tra giocatori che vogliono giocare alla stessa macchinetta.
E’ chiaro che la maggior parte delle persone che giocano d’azzardo non svilupperanno mai una vera patologia, ma è anche vero che l’offerta di gioco (di cui buona parte "prodotta" direttamente dallo Stato) è assai diffusa e raggiunge il giocatore in qualsiasi luogo (gioco online). Con i dati che ci hanno fornito tutti gli studi compiuti fino ad ora sulle relazioni cervello-gioco d’azzardo, risulta superfluo affermare che la questione sia ampiamente sottovalutata. Nello specifico, ben poco si sta facendo per informare (ed educare) la cittadinanza e le politiche sociali e sanitarie, nei fatti, sono come al solito concentrate sulla cura di una malattia in senso stretto piuttosto che sul fronte della prevenzione. E’ da rilevare, in tale contesto, che molti medici di base non hanno idonee conoscenze sul fenomeno del GAP e, tantomeno, dei chiari punti di riferimento nelle aziende sanitarie territoriali.  

Come ho già argomentato, gli effetti del gioco d’azzardo sono i medesimi sia in soggetti sani che in giocatori patologici (Joutsa et al., 2012). Ciò significa che il gioco d’azzardo è potenzialmente rischioso per chiunque, soprattutto se abbinato a stati emotivi di sofferenza come la perdita del lavoro, un abbandono, un lutto o una qualsiasi situazione che genera ansia e preoccupazione. Oltretutto, il gioco d’azzardo, con la complicità e la partecipazione diretta dello Stato nella sua vendita, è una pratica assolutamente conforme alle norme sociali; quindi, il giocatore d’azzardo patologico e i giocatori che si avviano a dipendenza certa, possono "drogarsi" senza temere reazioni sociali di particolare effetto.

Nel 2009, l’equipe di John T. Cacioppo, attraverso studi effettuati con la risonanza magnetica funzionale (fMRI), ha dimostrato che lo striato, la struttura del cervello che abbiamo visto essere implicata nei circuiti di ricompensa e piacere relativi al gioco d’azzardo, risulta molto più attivo nelle persone che hanno relazioni sociali appaganti e meno attivo nelle persone solitarie (Cacioppo et al., 2009). Lo striato è coinvolto, quindi, sia nel gioco d’azzardo patologico sia nelle relazioni sociali, potendosi dedurre, da tale circostanza, che il giocatore d’azzardo compensa gli squilibri cerebrali derivanti da una vita sociale negativa con gli effetti del gioco. Altro dato, questo, che deve far riflettere sulla gestione del problema "GAP" e che si somma pesantemente agli altri problemi di natura sociale che meriterebbero una "cura sociale" piuttosto che una cura medica la quale resta, per ora, il metodo maggiormente sponsorizzato dalle Istituzioni per affrontare disagi "sociali".


* Riproduzione Riservata *



Bibliografia

Billieux J., Lagrangec G., Van der Lindenb M., Lançond C., Adidac M., Jeanningrosc R. (2012)Investigation of impulsivity in a sample of treatment-seeking pathological gamblers: A multidimensional perspective, in Psychiatry Research, Volume 198, Ed. 2, 30 July 2012, pp. 291–296

Cacioppo J.T., Norris C.J., Decety J., Monteleone G., Nusbaum H. (2009), In the Eye of the Beholder: Individual Differences in Perceived Social Isolation Predict Regional Brain Activation to Social Stimuli, in Journal of Cognitive Neuroscience, January 2009, Vol. 21, No. 1, pp. 83-92

Clark L., Lawrence A.J., Astley-Jones F., Gray N. (2009), Gambling near-misses enhance motivation to gamble and recruit win-related brain circuitry, Neuron 2009 Feb 12;61(3):481-90.

Clark L., Studera B., Brussc J., Tranelc D., Bechara, A. (2014), Damage to insula abolishes cognitive distortions during simulated gambling, PNAS April 22, 2014 vol. 111 no. 16 6098-6103

de Ruiter M.B., Oosterlaanb J., Veltmana D.J., van den Brinka W., Goudriaana A.E. (2011),Similar hyporesponsiveness of the dorsomedial prefrontal cortex in problem gamblers and heavy smokers during an inhibitory control task, in Drug and Alcohol Dependence Volume 121, Ed. 1–2, 1 February 2012, pp. 81–89

Joutsa J., Johansson J., Niemelä S., Ollikainen A., Hirvonen M.M., Piepponen P., Arponen E., Alho H., Voon V., Rinne J.O., Hietala J., Kaasinen V. (2012), Mesolimbic dopamine release is linked to symptom severity in pathological gambling, in NeuroImage, Volume 60, Edizione 4, Maggio 2012, pp. 1992–1999

Lawrence A.J., Luty J., Bogdan N.A., Sahakian B.J. , Clark L. (2009), Impulsivity and response inhibition in alcohol dependence and problem gambling, in Psychopharmacology, November 2009, Volume 207, Edizione 1, pp. 163-172

Miedl S.F., Fehr T., Meyer G., Herrmann M. (2010), Neurobiological correlates of problem gambling in a quasi-realistic blackjack scenario as revealed by fMRI, Psychiatry Research, Mar 30;181(3):165-73.


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